Con Ordinanza dell’17 gennaio 2013 (proc. RGE n. 4328/2012), il Tribunale di Verona pronunciandosi sulla sospensiva di un pignoramento posto in essere da Equitalia a danno di un contribuente ha statuito che la buonuscita del lavoratore è intoccabile (ai sensi dell’art. 545 c.p.c.) se il debitore ha già lo stipendio pignorato.
“Il limite del quinto fissato dall’articolo 545 c.p.c. non può essere superato in alcun modo. Né l’agente della riscossione può rivalersi sul TFR accantonato dal datore di lavoro del soggetto moroso, in quanto le somme sono indisponibili e inesigibili fino al momento della risoluzione del rapporto professionale.
Così si è espresso il giudice delle esecuzioni mobiliari del tribunale di Verona con un’ordinanza depositata lo scorso 23 gennaio.
Il caso vedeva un contribuente raggiunto da cartelle di pagamento che tra imposte, sanzioni, interessi di mora e aggi di riscossione ammontavano a un totale di circa 160 mila euro. Equitalia ha quindi deciso di procedere al pignoramento di crediti verso terzi previsto dall’articolo 72-bis del dpr n. 602/1973. La società che gestisce la riscossione ha perciò chiesto all’azienda presso cui il debitore lavora di pagarle direttamente gli emolumenti dovuti, fino a quando la morosità non sarebbe stata completamente riassorbita. Tuttavia, in precedenza la stessa procedura era già stata avviata da un istituto di credito (per una somma di 42 mila euro): nel 2010, con ordinanza del giudice dell’esecuzione era stata decisa l’assegnazione all’ente finanziario di un quinto dello stipendio netto mensile di spettanza del lavoratore e dell’eventuale TFR in caso di cessazione dell’importo.
Al momento dell’azione da parte di Equitalia, quindi, la retribuzione del soggetto risultava già gravata di una decurtazione del 20% per effetto del pignoramento a beneficio della banca.
Da qui la scelta del contribuente, difeso dagli avvocati Daniele Giacalone e Rosalinda Salemi del foro di Palermo, di presentare ricorso in opposizione all’esecuzione al tribunale civile di Verona. Secondo i difensori, infatti, il tentativo di recupero da parte dell’agente di riscossione è illegittimo, in quanto intende rivalersi su uno stipendio già pignorato fino al limite di legge in virtù di una precedente procedura esecutiva. Sul punto, l’articolo 72-ter del dpr n. 602/1973 fissa precisi limiti di pignorabilità nella riscossione dei tributi.
A seguito delle modifiche operate dal dl n. 16/2012, per importi fino a 2.500 euro il tetto al recupero forzoso è pari a un decimo dello stipendio, mentre tra i 2.501 e i 5.000 euro si arriva fino a un settimo. Per cifre superiori ai 5 mila euro, invece, il dpr richiama l’articolo 545, comma 4 cpc, il quale dispone che stipendi, salari e altre indennità relative al rapporto di lavoro possono essere pignorate «nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo stato, alle province e ai comuni e in eguale misura per ogni altro credito».
Secondo Equitalia Nord, invece, l’ordinamento ammette l’ipotesi di una pluralità di pignoramenti successivi, anche sugli stessi beni (articolo 493 c.p.c.): la società pubblica sarebbe quindi legittimata a soddisfarsi pro quota, in misura proporzionale al proprio credito, sulle somme già pignorate, oppure «in coda» al primo creditore pignoratizio.
La tesi non trova però concorde il tribunale veronese. Agli occhi del giudice civile il comportamento di Equitalia è illegittimo, in quando posto in essere in violazione del citato articolo 545 cpc. «Né rileva l’assunto che il soddisfacimento effettivo avverrà in coda e dopo il primo pignoramento», si legge nell’ordinanza, «in quanto nel caso l’azione esecutiva come svolta in concreto ha riguardato l’intera retribuzione del soggetto». Motivo per cui il procedimento esecutivo viene sospeso ed Equitalia Nord condannata anche a rifondere le spese del giudizio”((Fonte: ItaliaOggi – 21 febbraio 2013)).